La scoperta di una nave romana al largo della spiaggia di Procchio è una delle più affascinanti vicende archeologiche del Mediterraneo.
Fu recuperata il 29 maggio 1967, su segnalazione di Elio Mazzei, grazie alle operazioni condotte sotto la guida del soprintendente Giorgio Monaco, affiancato dall’ispettore onorario Gino Brambilla e dal circolo subacqueo Teseo Tesei. Anche M. Zecchini ha dedicato studi approfonditi a questo relitto, che oggi rimane in gran parte sepolto sotto sabbia e pietre. Di ciò che resta, si può ancora osservare lo scafo, lungo circa 23 metri.
Il significato del nome
I “pucinchi” conoscevano probabilmente l’esistenza del relitto da secoli, e lo chiamavano “Nave di Tacca”.
La nave fu depredata durante il flagello della fillossera, intorno al 1889-90, quando i viticoltori locali saccheggiarono gran parte del carico, che consisteva in pani di zolfo.Il significato del nome “Tacca” non è sicuro, anche se potrebbe riferirsi a una scalfittura, tacca, segno, qualsiasi dislivello che significhi un limite, come può essere per la demarcazione che il relitto segna sul fondale tra lo specchio d’acqua che lo precede e quello che lo segue, come punto di riferimento; c’è da dire che la Tacca di fondo è il nome elbano di uno squalo degli abissi.
Altri suggeriscono che il nome “Tacca” possa riferirsi all’armatore della nave. Tacca è infatti un cognome toscano e anche se non è registrato negli archivi locali, potrebbe essere un soprannome, oppure potrebbe essere legato a qualcuno della terraferma.
Importanza del porto di Procchio in epoca romana
Il relitto giace parallelo alla costa, a circa 22 metri dalla riva, dove il mare è ancora poco profondo. La presenza di scorie di ferro etrusche nella zona suggerisce che Procchio fosse un porto di rilievo già in epoca preromana e romana.
Accanto a questo relitto, chiamato “Procchio A”, è stato scoperto un secondo relitto romano, “Procchio B”, datato circa un secolo dopo il primo, il che rafforza ulteriormente l’importanza della zona come punto di attracco.
Il carico e le rotte commerciali
Si ritiene che la nave sia affondata dopo il 169 d.C., quando Lucius Claudius Modestus era governatore dell’Arabia Petraea, le attuali regioni del Sinai e della Giordania.
Un’iscrizione “[~]DEST[~]” trovata a bordo potrebbe riportare il suo nome. La scritta potrebbe essere anche un bollo laterizio riportante i dati del produttore, dette tegulae mancipum sulfuris, tali tegole erano iscritte da destra a sinistra e non da sinistra come nel nostro caso.
Il carico principale della nave era costituito da pani di zolfo, probabilmente caricati nei porti di Agrigento. La nave avrebbe dovuto seguire una rotta che l’avrebbe portata verso diverse destinazioni per caricare beni tipici di quelle zone: vino gallico in Costa Azzurra, anforischi in Catalogna, Baleari e Andalusia, Marocco, ceramiche e lampade in Tunisia, Egitto, i famosi cristalli di vetro soffiato di Gerusalemme in Palestina, huntite nei laghi salati di Frigia in Turchia, e altri beni in varie tappe nell’Egeo, in Grecia, Sicilia di nuovo e all’Elba.
I test al radiocarbonio sui bulloni di rame e sul fasciame della nave hanno restituito diverse datazioni, suggerendo che l’affondamento avvenne intorno al 1810 BP±50, ma il carico a bordo offre indicazioni più precise per datare l’evento tra il 90 e il 190 d.C.
Reperti esposti al Museo Archeologico di Marciana
Il prezioso carico, ora esposto nel Museo Archeologico di Marciana, include ceramiche, vetri, e una cassa contenente oltre 10 kg di huntite, una rara polvere bianca di origine dolomitica. Questo materiale, utilizzato in cosmetica e pittura, fu rinvenuto in vari siti antichi, inclusa Pompei.
Una delle ipotesi è che la huntite, per la sua resistenza al fuoco, fosse usata come vernice di bordo.
Tra i ritrovamenti figurano anche ceramiche africane, lucerne tunisine con il marchio IVNI ALEXI (che fu un famoso produttore e una scuola di stile con sede vicino a Utica a sud di Cartagine), e alcune anfore di vino gallo-romane.
Altri preziosi ritrovamenti sono dei bicchieri dorati, probabilmente prodotti nei porti fenici di Sidone o Akko.
Ma il reperto forse più sorprendente è una statuetta crisoelefantina (avorio dorato). L’opera raffigura le divinità Dioniso e Pan Itifallico in un abbraccio in vigna (o con tirso), e aveva funzione di impugnatura di un coltello a serramanico la cui lama in ferro si è persa o dissolta in mare.
Questa scultura potrebbe essere appartenuta Lucius Claudius Modestus, seguace dei Misteri di Eleusi e iniziato all’Orfismo.
La ricostruzione della nave nel 2002
In occasione della ristrutturazione del Museo nel 2002, venne ingaggiato il maestro d’ascia Sergio Spina che realizzò, attraverso approfonditi studi comparati, delle tavole che riproducono nei dettagli ogni aspetto ingegneristico della stupefacente nave, e un modello in legno che ne riproduce in scala l’aspetto che avrebbe dovuto avere. Ai suoi materiali è dedicata un’ansa nella sala IV dove si può ammirare e analizzare nel dettaglio ogni singolo particolare.
Questo testo di Angelo Mazzei, studioso e addetto al Museo di Marciana, è pubblicato su groviglio.news